febbraio 23, 2014

La lanterna sul sentiero buio

"Tuttavia, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati (...)  Infatti «chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?». Ora noi abbiamo la mente di Cristo" (1 Corinzi 2:6,16).
Prima dei secoli Dio aveva già predestinato a nostra gloria la sapienza di Dio misteriosa ed occulta; quelle cose che occhio non vide e che orecchio non udì e che mai salirono nel cuore dell'uomo, proprio quelle cose Dio ha preparate prima dei secoli per coloro che lo amano.

Per arrivare a queste ricchezze occulte ai dominatori di questo mondo è necessario ricevere lo Spirito che viene da Dio; senza la nuova nascita non si possono ricevere degli occhi per vedere e delle orecchie per udire e una nuova mente per giudicare, non è dunque possibile ricevere e conoscere le cose dello Spirito di Dio.

Lo Spirito del Signore è come una lanterna sul sentiero buio che conduce alla presenza e alla conoscenza di Dio; una lanterna che è continuamente accesa per chi cammina sulla via dell'ubbidienza illuminando la sua atmosfera, illuminando il suo cielo, dando l'intendimento per capire le Scritture.

Senza lo Spirito di Dio le cose rivelate non si possono vedere, non si possono udire, non si possono intendere, non si possono ricevere; rimangono pazzia per l'uomo naturale che si avvicina ad esse, il quale, per trovare spiegazioni a ciò che legge non può fare altro che contorcere, snaturare vivisezionare e deformare la Parola di Dio, svuotandone di significato quel che per lui risulta pazzia inaccettabile, frutto della cultura del tempo antico che si evolve, proprio come le attuali cellule cerebrali che sembrano evolversi sempre più verso la vera pazzia, cioè verso quella umana sapienza e scienza che esclude il Dio che si rivela attraverso Gesù Cristo.

Daniela

febbraio 15, 2014

Il "gran giorno" dei Valdesi

L'Editto d'Emancipazione fu firmato il 17 febbraio ma la notizia non fu diffusa che il 24 e fu portata da Torino alle valli dal giovane Parander inviatovi dal pastore Amedeo Bert, valdese, cappellano della colonia straniera di Torino, che aveva validamente collaborato, anche per la stima che lo circondava a questa vittoria.

Il Parander a cavallo, galoppando tutta la notte, giunse a Torre il mattino del 25 febbraio: egli dovette quella notte passare dinanzi al castello di Miradolo, dove, nel 1686, avevano languito tanti valdesi e donde, in seguito alle pressioni degli stati europei protestanti, erano stati messi fuori in pieno inverno e avviati attraverso le montagne in una marcia massacrante verso la Svizzera.

Il giovane, entusiasta, apportatore della grande notizia, passando di notte per Miradolo ha la visione di una turba incatenata: rivede i suoi antenati che si volevano allora sterminare, la sua razza che doveva essere estinta, e grida il suo disprezzo agli aguzini e la sua esultanza per la notizia che porta.

Il 1848, l'anno delle Costituzioni largite a tutti i popoli in quasi tutti gli stati europei (in molti di poi annullate, ma non nel Piemonte).

Il "Diciassette Febbraio" è il gran giorno dei Valdesi.

In esso si commemora appunto la promulgazione fatta dal Re Carlo Alberto auspice il Marchese Roberto d'Azeglio, del cosidetto "Editto d'Emancipazione".

Per questo edito, dopo secoli e secoli di leggi umilianti e chiusi fra le montagne, in ben circoscritti limiti, come in ghetto, i Valdesi sono finalmente ammessi a godere i diritti civili e politici, equiparati agli altri cittadini.
FIno allora i Valdesi non potevano possedere case oi terreni in pianura; era loro vietato di frequentare le Università se non per adire a quelle libere professioni che poi soltanto fra i correligionari avrebbero potuto esercitare, cioè notaio, dottore, farmacista, geometra.

La domenica 27 Febbraio, secicento Valdesi recatisi a Torino presero parte alla sfilata imponente delle deputazioni degli Stati Sardi giunti alla capitale per testimoniare la loro riconoscenza al Re costituzionale. I posti nel corteggio erano fissati a sorte, ma il D'Azeglio volle che i Valdesi fossero i primi: "Sono stati troppo tempo gli ultimi!" diss'egli.

Allo scopo di perpetuare il ricordo di tale avvenimento, il Sinodo decise che il 17 Febbraio fosse celebrato in tutte le chiese e le scuole valdesi, e così è stato.

E il 17 febbraio è diventato la festa valdese.

I FALO' DEL POPOLO VALDESE
"O fratel mio che meco sali
"nova una stella sul monte s'accende
"e un'altra...e un'altra su ogni vetta appare
"e fanno cenni come a salutare..."
 Sono i falò del popolo Valdese!
"Fratello che a me chedi, tu ben sai
"come ogni pietra che il tuo piè ascese
"rechi d'una saguigna orma una storia,
"Quelle "stelle" ne avvivan la memoria.
Sono i falò del popolo Valdese!
"Fuochi di gioia poiché la giustizia
"la libertà da noi sì a lungo attese
"son ginte e forse viene una gran ora,
"Ascolta, dicon molte cose ancora
oggi i falò al popolo Valdese:
"Su! aduna, ammucchia tutti i tuoi sarmenti,
"l'arido strpo che frutto non rese,
"il tralcio vano, lo spino, ogni scoria!
"Fanno un falò per la tua nuova storia,
e sarai grande, o popolo Valdese!
"Sprizzi la fiamma, accesa alla scintilla
"che tanto a lungo il cuore tuo difese,
"distrugga, esalti, impetuosa e forte
"vessillo di vittoria in vita e morte,
segnal sacro a Te, popol Valdese!
"E l'ineffabil vento dello Spirito
"come turbine a cui nulla contese;
"mar di fiamme trabocchi il colle, al piano
"e fino all'orizzonte più lontano!
 "Orsù: fuoco ai falò, popol Valdese!"
(Dal libro "O paese, paese, paese... " di Ada Meille

febbraio 12, 2014

La morte è stata sommersa nella vittoria

Questa mattina le montagne bianche di neve sono indorate dal sole dell'alba e, benché la natura si stia ancora riposando, già la primavera è nell'aria annunziando nuova vita...ma guarda un po'! la mia riflessione spontanea nei pressi della vita è che in questa sinfonia prodotta dal tocco dei sensi: vista, udito, tatto, olfatto, la stonatura stridente della morte proprio non ci sta bene!"

Mi ricorderò sempre il pensiero che ebbi nella mia tenerissima infanzia quando realizzai per la prima volta che esisteva la morte...in quel momento pensai semplicemente: "Però! sarebbe bello vivere per sempre!" Ora sono giunta a capire che, la morte è il concetto, è la realtà, è l'idea più potente sul sentiero della vita, proprio perchè è l'anomalia per eccellenza; nella vita non c'è niente che sia più anomalo che la morte. Se ci si riflette a fondo, la morte non può essere un qualcosa di normale; anzi non ha senso se non che ci sia stato qualcosa di veramente sconvolgente che l'abbia innescata.

La morte dunque, nel percorso dell'esistenza, diventa l'oggetto centrale dell'analisi esistenziale, perché nel contesto "vita" la morte proprio non ci sta bene essendo più potente del suo contesto stesso e lo stravolge, vincendo: la morte risulta più forte della vita. La morte dunque è il più gran nemico dell'uomo perché è ciò che lo caratterizza in tutti i suoi aspetti, a partire da ciò che lo circonda, fino a raggiungerlo nell'intimo, nei pensieri, nella volontà e nelle azioni che sono alleati con essa, fino alla separazione dalla relazione attraverso la conoscenza di Dio

A questo punto il bel paesaggio mattutino, nella sua realtà, si trasforma e non è più un'espressione di vita, ma acquista il colpo sicuro e deciso del pugnale della morte.

Essendo la morte il potere più potente fu necessario vincerlo attraverso la sua stessa arma; la morte del Figlio di Dio fu come un vortice in un buco nero che trascinò con sé "la morte", la conseguenza naturale e spirituale del peccato e tutto ciò che la caratterizza, distruggendone il potere, annientando il dardo infuocato del nostro peggior nemico, trionfando su tutti i suoi aspetti esterni, interni all'uomo ed eterni."O morte, dov'è la tua vittoria? O morte dov'è il tuo dardo" (1 Corinzi 15:16).

In Cristo la morte è stata sommersa nella vittoria: Questa realtà della morte sommersa nella vittoria non la vediamo ancora manifestata, ma è già tutta "in embrione" ed è per questo che posso ora permettermi l'ardire di udire la sinfonia mattutina in un appagamento totale per mezzo di quell'Uno che ha trascinato con sé nella morte, la "signora Morte" annientandone per sempre il potere.

"Signore sovrano, al quale appartiene ogni potere, ogni gloria, ogni onore; pure a te appartiene la vittoria nella più grande guerra fra tutte le guerre...per sempre...la vita trionfò, trionfa e trionferà; non esistono parole nella lingua umana per esprimerti ciò che ti è dovuto; Tu rimani il Centro glorioso di ogni affetto più profondo, di ogni pensiero più elevato, di ogni devozione e consacrazione più radicale."

Daniela

febbraio 10, 2014

Continua a correre!

"Tu non temere, Giacobbe, mio servitore", dice il Signore; "poiché io sono con te, io annienterò tutte le nazioni fra le quali ti ho disperso, ma non annienterò te; però ti castigherò con giusta misura e non ti lascerò del tutto impunito" (Geremia 46:28).

La correzione del Signore, il suo castigo, il fatto che Egli non ci lasci del tutto impuniti è una semplice dimostrazione del legame che ci unisce a Lui, perché Dio ci tratta come figli e ci corregge per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità (Ebrei 12:4;11).

Nel cammino della fede, entriamo in conflitto con il peccato e la tensione può essere sovente molto pesante; e poi ci sono i pesi che gli uomini e le circostanze pongono sulle nostre spalle e sembrano schiacciarci e infine "le forze della malvagità" architettano i modi per cercare di vincerci. Nei tempi che furono si scatenavano pensando di distruggere la testimonianza bruciando i fedeli sui roghi, facendoli morire agonizzando lentamente nelle carceri o torturandoli atrocemente fino alla morte. Oggi hanno cambiato tattica; con l'ideologia del presunto "amore" e della falsa libertà tentano di ingannare, e per chi non ci casca è "l'esilio", la solitudine, è un apparente totale abbandono.

Ma in quel "lontano paese di deportazione" si ode una voce che è quella di Dio stesso:

"Tu non temere, Giacobbe mio servitore, non ti sgomentare, Israele! Poichè, ecco, io ti salverò dal lontano paese, salverò la tua discendenza dalla terra della sua deportazione; Giacobbe ritornerà, sarà in riposo, sarà tranquillo; nessuno più lo spaventerà" (Geremia 46:27).

Possiamo dunque essere certi che Dio domina tutto ciò che succede, e la fede dovrebbe ricevere tutte le avversità anche come una disciplina del Signore utile per il nostro bene.

Ogni difficoltà sul sentiero della fede è una disciplina per noi; non è un fardello pesante destinato a schiacciarci, ma è come un segnale che viene usato come fosse il movimento delle briglie del cavallo per farci correre più velocemente per continuare la storia narrata in Ebrei 11 di uomini e donne di fede che percorrono il cammino sul sentiero delle difficoltà e dei pericoli di ogni genere, e, che in diversi modi, abbandonano la gloria del mondo avendo accettato l'obbrobrio, le sofferenze, l'esilio, l'essere stranieri, la morte in questa condizione presente perché aspettano una patria migliore, vale a dire una celeste, dove Dio ha preparato loro una città.

Tutto questo è un incoraggiamento come se venisse detto: " Vedete che siete sul buon sentiero?

allora : Correte; continuate a correre!"

Daniela

Correre

1 Pietro capitolo 1

Questa è una lettera indirizzata agli eletti che vivono come forestieri, agli eletti secondo la prescienza di Dio che li ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti; il quale, benché non l'abbiano veduto, essi amano; credendo in Lui, benché ora non lo vedano essi esultano di una gioia ineffabile e gloriosa.

Amare chi non si vede o non si è mai visto può risultare difficile o impossibile, ma qui l'amore è rivolto verso Qualcuno che benché non si veda, lo si può però ben conoscere; è questa conoscenza reciproca che caratterizza la relazione d'amore fra Cristo e gli eletti.

Questa è una conoscenza che non è un semplice sapere (o sapere in anticipo), ma un conoscere effettivamente la persona nel luogo ove egli dimora. Ed è dunque verso un luogo che è diretta la nostra corsa avendo lo sguardo fisso su Gesù.

Due cose caratterizzano la corsa della santità, una è l'attrazione di Cristo nella gloria e il consiglio di Dio presentato in Lui che ci mette in questa corsa e lì ci mantiene, e l'altra è la correzione del Signore per la quale siamo liberati da ciò che non secondo la sua volontà e santità.

Le difficoltà ci possono scoraggiare se non vediamo il vero carattere della corsa che siamo esortati a intraprendere.

Per prima cosa dobbiamo principalmente assicurarci di essere sul buon sentiero, e in seguito sarà confortante ricordarsi sempre che, qualunque sia l'opposizione che possa sopraggiungere, questa sarà sempre un bene, un esercizio, ma anche una disciplina per noi.

Quando si è sicuri di essere sul buon sentiero più incontriamo delle difficoltà, più si desidera accorciare il viaggio...allora si corre. Lo Spirito di Dio ci invita a correre con perseveranza la corsa che sta dinnanzi a noi.

Potrà giungere il momento del grande scoraggiamento perché tutto è caratterizzato dalla morte, ma la lezione che Dio vuole insegnarci è che al di fuori della conoscenza e amore per la Persona benedetta di suo Figlio, sulla quale tutti i suoi pensieri trovano il loro centro, non ci può essere trasmessa la perseveranza nella corsa.

"Perché (Gesù) senza di me non potete far nulla" (Giovanni 15:5).

Daniela

febbraio 08, 2014

A te darò la vita come bottino

"Tu cercheresti grandi cose per te? Non le cercare! Poiché, ecco, io farò venire del male sopra ogni carne, dice il Signore, ma a te darò la vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai" (Geremia 45:5).

Quando tutto si coalizza per aggiungere tristezza al dolore, gemiti all'assenza di riposo; quando Dio decreta che distruggerà ciò che ha costruito, sradicherà ciò che ha piantato e questo farà in tutto il paese, la promessa della vita come bottino in tutti i luoghi dove si andrà, risuona alle orecchie come il dolce rumore del ruscello in primavera quando la vita rinasce intorno ...ovunque!

febbraio 02, 2014

Il sentiero della luce nella gioia

Efesini capitolo 1

Il sentiero della luce è unico, primeggia e non può essere confuso con un altro perché ha come guida le indicazioni della Parola vivente di Dio.

In quel sentiero ogni sguardo  è diretto e si posa su Cristo e sull'infinità di ciò che egli è nella posizione elevatissima che occupa; sull'immensità della sua opera eterna nel tempo, nello spazio, e nella consistenza numerica di anime salvate nei secoli.

Niente è più profittevole dell'essere consapevolmente attratti dal Centro di luce che non si spegne sul sentiero della luce dove lo Spirito Santo è stato mandato, da parte del Padre, per dirigere gli sguardi e i cuori sul Figlio, essendone testimone (Giovanni 15:26), illuminandoci per farci gustare l'eternità dove il Signore occupa il primato, perché a Dio è piaciuto di fare abitare in lui tutta la pienezza
.
L'aria che si respira in questi luoghi è il primato che occupa lui, Cristo, nel quale, per mezzo del quale, e in vista del quale tutto ciò che esiste, le cose visibili e le invisibili, sono state create.
Qui non c'è più da scoraggiarsi, perché le pietre dell'inimicizia con Dio sono state rimosse e non rischiano più di farci inciampare; per mezzo di quel "Centro" fisso che è Cristo, la riconciliazione è stata stabilita per sempre, tanto per le cose che sono sulla terra, tanto per quelle che sono nei cieli.

Il sentiero è Lui; l'aria che si respira è Lui; il cibo è Lui, l'acqua è Lui, la possibilità e la forza di essere liberati dalle tenebre, di essere trasportati nel regno della luce, di essere redenti, perdonati  dai peccati, di essere riconciliati per poter comparire santi, senza difetto e irreprensibili sono in Cristo e per mezzo di Cristo; e se ogni conoscenza, ogni amore, ogni guida, ogni pastore, ogni chiesa non hanno come obbiettivo Lui, Cristo nella sua pienezza, in tale caso al dubbio è lecito agire, ma a quel genere di dubbio che permetta di innescare il meccanismo di ricerca del giusto sentiero, del sentiero della luce dove le parole del Signore recano ciò di cui ogni cuore umano è assetato: la completezza della gioia, (Giovanni 15:11) che si manifesta poi nel dare e nella buone opere.

(Daniela)

(Arthur W. Pink) "La "gioia nello Spirito Santo" (Romani 14:17) è una realtà completamente diversa dall'allegria dell'uomo naturale. Essa è prodotta dal Consolatore che abita in noi. Egli ci rivela Cristo, risponde a tutti i nostri bisogni relativi alla purificazione e alla giustificazione, ci fa vivere in pace con Dio e forma Cristo in noi, portandoci ad essere sottomessi alla sua volontà affinché solo lui regni in noi. Nessuna sofferenza o tentazione può impedirci di obbedire al comandamento della Scrittura di rallegrarci sempre nel Signore. Colui che ha stabilito questo concetto conosce il lato oscuro della nostra vita, ossia i peccati e i travagli che ci opprimono e sa bene che dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni. L'ilarità dell'uomo naturale non può elevarlo al di sopra delle afflizioni terrene e presto svanisce dinanzi alle difficoltà della vita. Ad esempio, si spegne di fronte alla perdita dei beni materiali o la perdita di una persona cara, ma la gioia, frutto dello Spirito, non dipende dal temperamento o dalle circostanze, né fluttua secondo l'andamento dell'umore o della buona sorte. La nostra natura, ovviamente, non può fare a meno di essere partecipe delle circostanze che affronta, come Gesù quando pianse davanti alla tomba di Lazzaro. Comunque, come Paolo dobbiamo poter esclamare: Afflitti, eppure sempre allegri" (II Corinzi 6:10). Un cristiano può essere carico di grandi responsabilità, può dover affrontare avversità, i suoi piani possono andare all'aria e le sue esperienze essere deluse, può perdere persone care che gli hanno dato gioia, tuttavia, nonostante tutte queste delusioni e afflizioni, il Signore continua a comandargli: "Rallegrati". consideriamo l'atteggiamento degli apostoli nella cella sotterranea più profonda, con i piedi nei ceppi e le spalle sanguinanti e doloranti per le terribili frustate che avevano ricevuto. Cosa facevano? Brontolavano? Si lamentavano e pretendevano spiegazioni sul perché di un tale trattamento? No, piuttosto leggiamo che "verso mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio" (Atti:16:25). Non c'è nessuna ribellione nel loro cuore, camminavano nell'obbedienza e così lo Spirito Santo rivelava ai loro cuori le cose che riguardavano Cristo. Per questo erano tanto ripieni da "straripare". Se vogliamo mantenere la nostra gioia, dobbiamo evitare di contristare lo Spirito Santo. Quando Cristo regna, il cuore è pieno di gioia. Se Cristo è davvero il Signore di ogni desiderio, la sorgente di ogni motivazione e il Padrone di ogni concupiscenza, allora la gioia riempirà il cuore e la lode sgorgherà dalle labbra. Affinché questa sia costantemente la nostra esperienza dobbiamo prendere ogni giorno la nostra croce. Dio ha ordinano che non ci sia nessuna corona senza croce! Rinunciare a se stessi, tagliare la mano e cavare l'occhio che porta a peccare sono i metodi che consentono allo Spirito di dimorare in noi, arrecando la gioia del sorriso di Dio, la certezza del suo amore e della sua presenza. Molto dipende dall'atteggiamento con cui affrontiamo ogni nuovo giorno: se ci aspettiamo che le persone ci coccolino saremo delusi e irritati, se desideriamo che il nostro orgoglio sia soddisfatto saremo avviliti quando questo non avverrà. La legge della felicità è dimenticare se stessi per cercare la felicità degli altri. "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (Atti: 20:35).