giovedì 5 maggio 2016

Vi è forse ingiustizia in Dio?

"Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio?" (Romani 9:14)

L'uomo ragiona secondo la carne e domanda: "Se Dio, di due uomini ugualmente peccatori, ne salva uno e ne lascia perire un altro, non agisce forse con ingiustizia?" Il modo di porre tale domanda già denota la presunzione del cuore umano nel dare all'uomo il diritto di criticare e di giudicare Dio invece di lasciarsi giudicare da Lui e di sottomettersi al Suo giudizio. Non può essere altrimenti: dal momento in cui metto in dubbio la sovranità di Dio, critico Dio e lo giudico. Non è Lui che giudica, ma io. La ragione naturale dell'uomo si eleva in questo modo contro una verità che proviene precisamente dalla natura divina e che si fonda su di essa.
Se Dio è Dio, deve essere sovrano in tutti i Suoi atti. Ogni insegnamento che nega la maestà sovrana di Dio o che lo considera come un Dio indifferente al peccato e alla miseria dell'uomo e contrario alla verità è indegno di Dio. Dio è luce ed è impossibile alla luce di unirsi alle tenebre del cuore umano; Dio è amore e l'amore è libero di agire nella santità secondo la sua natura.
L'uomo è ignorante nella conoscenza di sé stesso e  nega la sua completa corruzione, si rivolta contro la Parola di Dio e ne critica le vie, ma facendolo e osando porsi davanti a Dio sulla base della suo presunto discernimento di "giustizia" condanna sé stesso e giustifica Dio.

Alla domanda: "Che diremo? Vi è forse ingiustizia in Dio?" L'apostolo risponde: "No, di certo!" e aggiunge immediatamente: "Io avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione".
A prima vista questa citazione potrebbe parere strana, ma se noi pensiamo in quale occasione queste parole furono pronunciate, noi potremo scoprire (come è spesso il caso quando si investiga a fondo la Parola) che ciò che sembrava fuori luogo, al contrario era proprio al posto giusto; ciò che sembrava scordato diventa gloriosa armonia. Più guardiamo da vicino le circostanze che permisero questa dichiarazione più capiremo che era proprio messa al posto giusto.

Alla montagna del Sinai dove la grazia Dio li aveva portati sulle di aquila, Israele aveva risposto alla condizione posta da Dio rivolta a loro: "Se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto", dicendo: "Noi faremo tutto quello che il Signore ha detto"( Esodo 19). Invece di continuare a confidarsi nella grazia di Dio, ebbero la pretesa di potere, malgrado tutte le esperienze umilianti che avevano fatto, di riuscire ad obbedire, coi loro propri sforzi, a tutti i comandamenti di Dio.

La conseguenza fu l'alleanza della legge, la comunicazione delle giuste e sante esigenze di Dio nei confronti dell'uomo nella carne. Così cominciò la vera storia d' Israele come popolo. Mosè salì sulla  montagna per ricevere i comandamenti di Dio. Visto che tardava il popolo divenne impaziente e chiese ad Aaronne di fare e di erigere un vitello d'oro. Israele violò miseramente il primo comandamento non trovandosi, in questo modo, di fronte ad altro che a un giudizio distruttivo e immediato. La sua storia come popolo era appena iniziata che perse in un colpo solo tutto quello che avrebbe potuto pretendere se avesse obbedito. Il Dio che aveva fatto le promesse e che solo poteva portarle a compimento era stato terribilmente offeso. Cosa rimaneva ad Israele? Se Dio avesse dovuto agire in giustizia verso il popolo, e non avrebbe potuto agire diversamente che sulla base della legge, sarebbero tutti dovuti essere messi a morte. Scappare da lì era impossibile.

Se avessero voluto tenersi davanti a Dio sulla base della "giustizia", la sorte di Israele sarebbe allora stata decisa per sempre, come Dio aveva detto a Mosé: "Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo da collo duro. Dunque, lascia che la mia ira s'infiammi contro di loro e che io li consumi, ma di te farò una grande nazione" (Esodo 32: 10). Non è infatti a causa della loro giustizia  che Dio diede al popolo il buon paese, (Deut. 9:6), ma perché Egli accolse l'intercessione di Mosè (un tipo di Cristo) e si ritirò in questo modo sulla base della sua grazia sovrana: "Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del Signore davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò aver pietà" (Esodo 33:19); E' solo su questa base ch'Egli poté pentirsi del male che aveva detto di fare al sul popolo (Esodo 32:14), e  perdonare la sua iniquità.
Questo è meraviglioso! Quando l'uomo è irrimediabilmente perduto a causa della sua condotta; quando la giustizia di Dio non può fare altro che colpirlo con la Sua ira e con il Suo giudizio a causa della sua disubbidienza e del suo peccato, quando la legge lo deve maledire e condannare a morte, Dio ha ancora delle risorse in Sé stesso. Vedendo in anticipo il grande mediatore che verrebbe nel futuro, di cui Mosé è una bella rappresentazione, Dio poteva usare grazia e misericordia a chi voleva, secondo il proposito della sua libera grazia incondizionale: "Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia" (Rom. 9:16).
 (autore anonimo)



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