domenica 25 agosto 2013

Parole che non hanno bisogno di parole.

Leggere Matteo 10:16;42.

Queste sono parole che non avrebbero bisogno di parole per spiegarne ulteriormente il significato, ma quanto siamo abili ad aggiungere e togliere in modo da dover essere poi obbligati a  fermarci, depositare i bagagli, (cioè i tanti insegnamenti), per poter provare in seguito a ricominciare da zero.

Due, dunque a mio avviso, sono i bagagli da abbandonare:
1) La Bibbia non è Parola di Dio, ma la contiene.
2) La Bibbia è Parola di Dio, ma va suddivisa in periodi, perché certe parti non sono indirizzate a noi.

Io penso che questi due modi di approccio alla Scrittura chiudano allo Spirito due possibilità di azione.
Dio cerca di farci entrare nel suo regno, cioè di farci capire che nel suo dominio Egli non muta, e  il suo pensiero e la sua azione sono rivolti direttamente verso il suo popolo che Egli ha acquistato col sangue prezioso del suo amato Figlio.

Il capitolo 10 di Matteo è dunque indirizzato in modo diretto ai suoi, a tutti coloro che fanno parte del suo gregge nei secoli dei nostri millenni .

Sapete perché la penso così? Perché questo brano della Bibbia è l'esatta situazione di coloro che vivono alle dipendenze continue del Re e non è solo la condizione di un certo popolo, in un certo periodo di tempo!
Bisogna trovarsi a combattere il buon combattimento della fede direttamente sul campo di battaglia del regno per rendersene conto.

"Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato" (Matteo:10;22).
Secondo certe interpretazioni, questa frase, non può essere indirizzata a noi, credenti del periodo della grazia, perché la salvezza è stata compiuta da Cristo in nostro favore una volta per sempre; ma, in realtà, io credo che  la salvezza abbia delle conseguenze logiche; (e comunque qui non si parla di rinascita spirituale), qui si tratta della salvezza della  nostra comunione vitale con Dio che è legata alla vita dello Spirito e non può durare senza perseveranza nelle sofferenze con Cristo.

"Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo voi vivrete (...) Se siamo figli di Dio, siamo anche eredi; eredi di Dio, e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui". (Romani 8: 13;17).

Daniela.

4 commenti:

  1. Bene. Aggiungo un'altra posizione "di moda" sostenuta da un mio corrispondente, di soggettivismo senza vergogna: "A ciascuno di noi sta comprendere quando di umano e quanto di divino troviamo nelle Scritture",

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  2. Grazie a te Luca!
    Rispondo all'affermazione del tuo corrispondente, Paolo, con le parole di Charles H. Spurgeon nel suo sermone su (Matt. 20:15)
    "non c'è attributo più consolante per i suoi figli che la sovranità di Dio. Nelle circostanze più avverse, nelle prove più severe, essi credono che sia stata la sua sovranità a disporre le loro afflizioni, che è la sovranità le ha fatte loro superare, e che la sovranità le può santificare. Non c'è nulla che meriti di essere difeso a spada tratta da parte dei figli di Dio più della dottrina della sovranità del loro Padre su tutto il creato, la regalità di Dio su tutte le opere delle sue mani, il trono di Dio e il suo diritto a sedere su quel trono. D'altro canto, non esiste dottrina che sia più odiata dai figli di questo mondo, nessuna verità che essi maggiormente calpestano, che la stupenda, certissima dottrina dell'infinito Yahweh. Gli uomini permetterebbero a Dio di stare in qualunque altro luogo, eccetto che sul suo trono: Gli permetterebbero di stare nel suo laboratorio per forgiare i mondi e le stelle. Gli permetterebbero di stare allo sportello della sua banca per dispensare elargizioni e benedizioni. Gli permetterebbero di sostenere la terra e di tenere diritte le sue colonne, di illuminare i luminari del cielo, o di governare le onde degli oceani; quando però Dio sale sul suo trono, le sue creature digrignano i denti. Noi però proclamiamo un Dio ben stabilito sul suo trono, il suo diritto di disporre di ciò che è suo come più gli piace, di disporre delle sue creature come meglio ritiene opportuno, senza consultarle a riguardo; è allora che ci fischiano contro e ci scagliano tutte le loro esecrazioni che fingono di non udire e non comprendere, perché un Dio sul suo trono non è un Dio che loro amano: E' un Dio sul trono, però, che noi amiamo predicare. E' un Dio sul suo trono quello del quale solo abbiamo fiducia.

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  3. Magnifico questo sermone... Grazie Daniela e grazie Paolo!

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