mercoledì 25 maggio 2016

La Bibbia di Olivetano


Pier Robert Olivetano è autore della prima traduzione in francese della Bibbia, la cosiddetta: Bibbia di Olivetano. Fu pubblicata per la prima volta nel 1535 a Neuchatel, in Svizzera, solo un anno dopo la traduzione della Bibbia in tedesco da parte del riformatore Martin Lutero; nell'apparato di note e indici vi si trova pure una prefazione del Riformatore Giovanni Calvino.
Olivetano, cugino di Giovanni Calvino studiò a Orléans, nel 1528 si trasferì a Strasburgo, dove studiò l'ebraico con Martin Bucero e Volfango Capitone.
Nel 1532 i valdesi decisero di aderire alla Riforma ginevrina e comtemporaneamente decisero di finanziare  la prima edizione completa della Bibbia in francese, la lingua che si parlava allora nelle Valli valdesi, insieme al più popolare patois occitano. Tale compito fu affidato a Olivetano che completò l'opera in meno di due anni, traducendo dagli originali ebraico greco.

Nella prefazione della Bibbia di Olivetano si trova una lettera di un riformatore protestante che si firmò V.F.C.
Questo riformatore indirizza la lettera a "nostro alleato e confederato, il popolo del patto di Sinai". Sembra che i motivi per includere questa lettera nella Bibbia siano stati quelli di ricordare ai lettori che il vangelo concerneva sia i Giudei sia i Gentili e di modellare un approccio evangelistico nei loro confonti. La lettera, priva di polemica antigiudaica, è stata attribuita variamente a Calvino e ai tre riformatori, Viret, Farel e Calvino. Robert White preferisce attribuirla al riformatore di Strsburgo, Wolfgang Fabri Koepfel (1478-1541), passato alla storia come Capito, perché la versione latina del suo nome corrisponde alle iniziali V.F.C. Inoltre questo riformatore aveva reputazione di essere moderato nei confronti dei Giudei.
Lo scrittore, chiunque egli fosse, trasse dall'Antico Testamento il tema escatologico della purificazione e restaurazione d'Israele sotto un re davidico, per dare corpo alla aspettativa espressa in Romani 11:25-27, del loro ritorno al Signore dopo che sarà entrata la pienezza dei Gentili, V.F.C. ragiona come segue: "Se El Shaddai si è impegnato con un patto a riconoscere i Giudei come suo popolo, è con l'intenzione che loro lo riconoscano come Signore del patto e pongano completa fiducia in lui". Quest' atteggiamento di V.F.C. verso i Giudei costituiva un notevole passo avanti rispetto a quello dominante durante il periodo della Riforma.
E' significativo che l'autore di tale documento, inteso a promuovere l'evangelizzazione dei Giudei, prese sul serio ciò che la rivelazione biblica afferma riguardo a questo popolo. V.F.C. si convinse da suo studio di Osea che i Giudei sarebbero ritornati alla Terra santa, che avrebbero riconosciuto sia Dio sia il suo Messia e che questo popolo sarebbe stato nuovamente benedetto materialmente. Egli scrisse: "Quanto ai Giudei, aspettiamo senz'altro che queste cose succederanno in modo letterale".
Il fatto che al tempo in cui viveva V.F.C. il pregiudizio teologico e la politica eccelssiastica si opposero a una simile veduta dimostra che la posizione da lui espressa era basata unicamente sulla certezza che Dio avrebbe onorato le sue promesse verso Israele, secondo i termini indicati da Osea 3:4-5; e da Paolo Romani 11:12-27.


1 commento:

  1. Questo conferma che la Chiesa e noi credenti non ebrei siamo innestati nel ceppo della vigna che e Israele, come sciveva Paolo ai Romani.

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