giovedì 23 maggio 2013

Per essere doppiamente benedetto

Giobbe. Consideriamo ed analizziamo le sofferenze che questo uomo dovette passare:
  • mesi di sciagure;
  • notti di dolore prolungate con agitazione fino all'alba;
  • Giobbe ebbe la carne coperta di vermi e di croste polverose; la pelle si richiudeva e poi riprendeva a suppurare;
  • i suoi giorni si consumavano senza speranza.
  • era nell'angoscia dello spirito;
  • nell'angoscia dell'anima;
  • consumato;
  • sgomentato da sogni;
  • spaventato da visioni;
  • con la consapevolezza che Dio teneva lo sguardo fisso su di lui senza dargli il tempo di inghiottire la saliva, allo scopo di metterlo alla prova ogni istante
  • Giobbe era un peso per sé stesso;
  • Dio ne aveva fatto il Suo bersaglio (vedi capitolo 7).
Ma la struttura psichica di Giobbe era talmente sana che non gli passò nemmeno nell'anticamera del cervello di suicidarsi; ciò che invece succede spesso ai nostri giorni e per motivi molto meno pesanti. La "corteccia" cerebrale della gente della nostra era è fragile, molto fragile!

Ieri, nel mio giardino, ho raccolto tante chiocciole fra le orchidee da giardino, pianta che loro amano "divorare"; capita che alcuni di questi molluschi abbiano la "casetta" così sottile, che solo a prenderla delicatamente con le dita si rompe!

Mio padre aveva un'allevamento di 3000 galline, e quando andavo al pollaio a raccogliere le uova in grossi panieri rossi, capitava di trovare un uovo che non aveva guscio, ma solo una pellicina; non riuscivo a prenderlo con le dita, ma delicatamente dovevo farlo rotolare nella mano per non romperlo.

Facendoci conoscere questo libro, Dio voleva dimostrare agli abitanti del mondo, il fatto che Giobbe ebbe una corazza robusta di giustizia, pazienza e sopportazione.

"Hai notato il mio servo Giobbe? Non c'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male" (Giobbe 1:8). "In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa" (Giobbe 1:22).

Le reazioni che Giobbe ebbe in seguito, nella sua prova, furono umane e lecite: chiese a Dio spiegazioni: " Perché fai di me il tuo bersaglio a tal punto che sono diventato un peso a me stesso?" (Giobbe 7: 20); e gli chiese il perché non perdonasse le sue trasgressioni e non cancellasse la sua iniquità.

Ecco un uomo che parlava al suo Creatore, a quel Dio che egli aveva sempre rispettato; e gli parla come fosse un suo conoscente intimo; senza peli sulla lingua, come un suo pari, cercando di avere un colloquio con Lui. In tutto questo io non vedo irriverenza da parte di Giobbe, e nemmeno religiosità; ma noto un atteggiamento di ricerca di un dialogo e di relazione. Ed è ciò che Dio stesso cerca, e, in questi casi, Dio risponde; facendo però notare a Giobbe un "piccolo" particolare: che lui è un uomo e che Dio è Dio.

"Cingiti i fianchi come un prode, io ti farò delle domande e tu insegnami (è Dio che si rivolge in questo modo a un uomo!). Dov'eri tu quando fondai la terra? Dimmelo, se hai tanta intelligenza. Chi ne fissò le dimensioni, se lo sai? Hai tu mai, in vita tua, comandato al mattino? Sei tu penetrato fino alle sorgenti del mare? Hai tu passeggiato in fondo all'abisso? Hai tu abbracciato con lo sguardo l'ampiezza della terra? Puoi tu stringere i legami delle Pleiadi? Conosci le leggi del cielo? Regoli il suo dominio sulla terra? I fulmini partono forse al tuo comando?"...basta così! Ho scritto solo alcune domande che il Signore rivolse al povero Giobbe che credo si sia sentito piccolo, piccolo, ma anche molto onorato da Dio, che dal seno della tempesta decise per parlargli e fargli capire che il suo Dio ci teneva così tanto a lui, da rivelargli la Sua maestà, la Sua sovranità e la realizzazione finale del Suo desiderio di benedirlo doppiamente.

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